ON THE AIR
(RAI 1, 28 aprile 2023)
by CRITICA&WEB
(12 aprile 2023)
STANNO SPARANDO SULLA NOSTRA CANZONE è uno spettacolo che sembra inventato secondo una nota frase di Voltaire: “Lasciateci leggere e danzare, due divertimenti che non potranno mai fare del male al mondo”. E infatti ci si diverte durante questa pièce teatrale che non ha ancora deciso cosa farà da grande.
Di fatto, la black story, così ce la descrive il sottotitolo, rubacchia molto al musical pur avendo solo tre attori in scena e sembra anche essere un tributo alle atmosfere create dai racconti di Craig Rice e al suo John J. Malone seppure ambientate negli anni ’50. Qui siamo negli anni venti.
La storia scritta per servire il patchwork musicale, magistralmente eseguito dal maestro Alessandro Nidi, è semplice e osserva rigorosamente le tre fasi : esposizione, conflitto, risoluzione.
L’Opening number è affidato a Mickey Malandrino, il bravo Cristian Ruiz, che ci trasporta cento anni indietro con grinta e maestria.
L’arrivo degli altri due personaggi, cioè Jenny Talento, la sexy Veronica Pivetti, e il virile Nino Miseria, Brian Boccuni, danno lo start alla storia.
È probabile che in principio si abbia la sensazione di essere travolti dalla musica, dai colori prepotenti, dai corpi sinuosi, ma è una sensazione che si fa assaporare via via e che il pubblico sembra apprezzare molto.
La scena è essenziale ma efficace. A chi avesse nostalgia di un corpo di ballo ci permettiamo di rispondere che la sfida di questo show è intrinsecamente questa – l’assenza – ed è, a nostro avviso, fra le cose più interessanti.
Belli i giochi di luce disegnati nel fumo da Eva Bruno. Belli i costumi ideati da Walter Azzini.
Pivetti dispensa eleganza, abilità e bravura. Ironica, disperata, intensa, sempre in bilico sulle nostre emozioni. Ci provoca, portando con grazia scanzonata, e abbastanza rara, il suo caschetto di capelli neri, rimandandoci ai suoi esordi, all’impudica Valentina di Crepax, a Colette l’immortale. Fra il sesso e il faceto ci esorta a sbirciare mentre consuma, sensualmente, un arcinoto bolero latino, unita al giovane Boccuni, scultoreo, machissimo, dal piglio impetuoso e muscolare. E così i due ci condannano, al ritmo di ¾, ad una platea di sedotti e indiscreti. Fra le tante canzoni, ci permettiamo di segnalare l’interpretazione di Parigi di Paolo Conte, dove la Pivetti commuove e colpisce per la sua intensità.
Interessante l’idea di un gangster la cui fluidità divelle la nostra gaytudine latente. Freud del resto l’ha detto: così fan tutte! E Ruiz, quel Cristian Ruiz, ce lo canta e ce lo modella, impugnando i sensi e l’attenzione del pubblico come crede, come vuole, turbando chi passa anche i più moralmente convenzionali, con quell’ottava grave, diabolica, transeunte, per una e l’altra sponda. E ce lo dice: “Siam puritani ma anche cosmopoliti”.
Altra immagine insolita della figura maschile ce la offre Boccuni mentre canta, con l’iconica canottiera neorealista, la commoventissima “Moon River”, ultimo straziane richiamo d’amore all’amata Jenny.
Uno spettacolo eccessivo, forse, che tuttavia esercita una fascinazione allegra nel pubblico, come ci riportano le cronache social, i compendi delle community e gli applausi (molti!) catturati dai telefonini. Insomma sembrerebbe una proposta davvero azzeccata per riportare a teatro un pubblico dimezzato dal Covid, da vetusti palinsesti spesso dominati da proposte distanti dagli ideali d’intrattenimento, dalla cultura e dalle risate della gente, specie la più giovane.
Se vi siete lasciati ingannare, vi sembrerà mera evasione, ma, attenzione, perché non lo è (a proposito, noi, il colpevole non l’abbiamo indovinato). Attraversata da paillettes e spari, la pièce si chiude con chiare ed evidenti allusioni all’insana e molto attuale, ahinoi, condizione della donna, dopo averci paventato, tra l’altro, i danni della profilazione dei social, oltre che dei nostri cuori, da parte dei Dick Tracy del mondo della finanza.
Per concludere, nel bene e nel male, ci viene rendicontata una qualunque storia d’amore citando un po’ della nostra ambiguità sessuale, audace e sfacciata, e miseri e delittuosi meccanismi sentimentali. Una sensualità datata e annientata dall’engagement dei nuovi brand e dell’era del love – Friday.
‘Non sono solo canzonette’.
Il tutto cucito sulle attitudini di tre attori molto bravi, avvenenti, capaci. Leggendo le critiche (la maggioranza a favore dell’esperimento) s’incappa qua e là in fisiologici, stimolanti e sani estremismi: c’è chi si è sentito provocato, qualche altro sedotto e abbandonato, e qualcuno anche profondamente scandalizzato. Purché se ne parli, diceva quel tale. Giusto, diciamo noi, anche se per quel che ci riguarda, non amando quei pochi puritani, preferiamo gli applausi dei molti cosmopoliti.
Link ad altre recensioni
da Diego Romeo (scrittore, regista, critico letterario)
e su altre fonti online: