Shakespeare mi ha dato una certezza, nella vita: il colpo di fulmine esiste.
Lo stesso subitaneo innamoramento che colpisce i suoi più appassionati protagonisti può essere sperimentato da chi, ad un certo punto della vita, scopre il suo teatro. E la sua vita cambia per sempre.
A questo fenomeno, questa ossessione, questa forza incontrollabile che prende l’anima, gli inglesi, maestri della nomenclatura ironica, hanno affibbiato un nome pittoresco: Bardolatry. Bardolatria.
Può beccarla chiunque, a qualsiasi età, nei modi più bizzarri. In una libreria, un’aula universitaria, nella platea di un teatro importante…ma anche sulla tovaglietta promozionale acquistata nello shop di un museo o in un vetusto esemplare di libro abbandonato nella vecchia libreria della nonna. Su instagram. Su un muro. Shakespeare è ovunque, universale. Tutti lo conoscono. C’è però un momento in cui qualcuno, affetto dai primi sintomi di una galoppante Bardolatria, decide di volerne sapere di più. Di volerlo approfondire. Di non volersi fermare ad una conoscenza superficiale. A quel punto, non c’è più cura. Solo procurarsi tutte le sue opere e tuffarsi senza rete nel caleidoscopio rutilante del suo mondo. Un mondo tanto ricco di temi e sfumature, di personaggi e storie, di magia e amore, di dolore e gelosia, da richiedere una vita intera per essere conosciuto. Compreso? Non è quello l’obiettivo. Vissuto. Amato. Usato come lente ingranditrice per interpretare meglio la realtà che ci circonda. È assolutamente irrilevante che le sue opere risalgano all’epoca Elisabettiana, perché la loro anima è completamente atemporale.
Io ho preso la Bardolatria qualche anno fa, al Conservatorio Reale Scozzese di Glasgow, durante un corso del tutto casuale al quale non era neanche previsto che prendessi parte.
Io, che di Shakespeare conoscevo solo le versioni tradotte delle opere principali, mi sono ritrovata a tu per tu con il monologo della morte di Cleopatra in lingua originale, a confrontarmi con il pentametro giambico e la metrica e con le parole immortali di un genio.
Ricordo ancora la sensazione di circospetta eccitazione che mi ha assalito quando ho mosso i primi passi in questo territorio inesplorato. Ero già sotto il suo incantesimo.
Lo sono tutt’oggi, sto dedicando al Bardo di Stratford le mie aspirazioni artistiche e sto alimentando la mia Bardolatria (lungi da me volerla curare!) con approfondimenti, seminari, corsi e spettacoli.
Le opere di Shakespeare sono oceani sonfinati, in cui immergersi come vascelli coraggiosi che prendono il largo in cerca di tesori preziosi. Chiunque voglia unirsi a me in questo viaggio, è più che ben accetto. Se dovessimo naufragare, ci insegna il Bardo, finiremmo in terre leggendarie dove niente è come sembra e dove le persone sono fatte ‘as dreams are made of’.