Nadia Murad è una ragazza di silenziosa. Una ragazza che non ha bisogno di parole perché parlano i suoi occhi.
I suoi occhi quando piangono, quando guardano lontano, quando non vogliono rispondere.
La notte del 3 agosto 2014, l’Isis invase la sua città sterminando la maggior parte della popolazione di fede Yazida. Fra quella gente, sottoposta ad ogni genere di violenza, c’era la sua famiglia. Nadia aveva appena vent’anni quando ha visto uccidere sua madre, i suoi sei fratelli e rapire molti, tanti bambini per essere dati in pasto alla guerra.
Quella notte è stata fatta schiava e costretta, dai miliziani dell’Isis, a subire ogni genere di violenza e tortura.
Sulle sue spalle, l’intenso documentario di Alexandria Bombach, racconta il duplice calvario di questa giovanissima irachena. Calvario durante il quale ha conosciuto ogni genere di crudeltà e da cui, grazie ad una distrazione dei suoi carcerieri (un miliziano si scordò di chiudere a chiave la porta della sua cella), è fortunatamente riuscita a fuggire.
Nadia, ora, va in giro per il mondo per far conoscere la sua storia e lo sterminio sistematico della sua gente.
Oggi è attivista per i diritti umani e dal 2016 è prima ambasciatrice Onu per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di essere umani.
Nadia è difesa dall’avvocato Amal Clooney, che ha definito gli orrori, di cui la Murad e la sua gente sono stati vittime, come burocrazia del diavolo a scala industriale, avvertendo il mondo che la tratta di essere umani praticata dall’Isis ha molte facce. Quella nei territori, ma anche sul web, fra gli spazi virtuali dei siti e del social network.
Recentemente Nadia ha dichiarato: “Mio nipote combatte per l’Isis e ha detto che mi ucciderà”.
Suo nipote, uno di quei bambini…
Nel 2018, Nadia Murad ha ricevuto il premio Nobel per la pace e prosegue la sua instancabile marcia, nonostante le minacce e i rischi continuino a pesare dolorosamente sulle sue esili, fragili, fortissime spalle.
Sulle sue spalle: vai al trailer